Le
onde e la coscienza. Un
panorama della scoperta e delle ricerche di psiconeurofisiologia e
delle ricerche sulle onde elettromagnetiche del cervello
Marco
Margnelli (1939 – 2005)
Nel
1924, quasi casualmente, Hans Berger, un ricercatore di origine belga
che si era trasferito in Germania "scoprì" ( sono tentato
di scrivere "si accorse") che il cervello è un produttore
di onde elettromagnetiche. Come prevedibile, il significato della sua
scoperta assunse un adeguato spessore solo molti anni dopo la
pubblicazione delle sue osservazioni sperimentali (circa una decina),
allorché i codificatori delle scienze sperimentali (in questo caso i
fisiologi), attivi nelle università, si applicarono alla ripetizione
degli esperimenti di Berger e alla comprensione dei meccanismi che
davano luogo a un "tanto inusitato" o "insospettabile"
fenomeno. La cautela degli scienziati di allora (come quella di
quelli di oggi) non era ingiustificata: Berger non era un fisiologo,
la sua preparazione elettrofisiologica era praticamente nulla e anche
di elettrologia ne sapeva molto poco. C'erano dunque tutte le
premesse per agire con cautela. Dapprima Berger impiegò un
galvanometro di Edelman, un strumento assai poco sensibile in
confronto alle odierne apparecchiature; in seguito impiegò
ovviamente degli amplificatori a valvole. Anche ammesso che quanto
aveva registrato con questi strumenti molto primitivi avesse
importanza, occorreva innanzitutto decidere se si trattasse di un
vero fenomeno e non di "artefatti", magari dovuti alla
primitività degli strumenti, ma comunque occorreva un lungo lavoro.
A
distanza di più di mezzo secolo, sappiamo che Berger aveva scoperto
un fenomeno genuino, e anche importante, e che la sua scoperta ha
avuto sviluppi ampi e decisamente utili per l'umanità e il progresso
delle scienze mediche.
Nel
1924 l'elettrofisiologia era agli albori: tanto quanto oggi si
potrebbe immaginare tra la fisiologia e il magnetismo (quello vero,
quello delle calamite, e non il "magnetismo animale" di
Messmer), sicché la spiegazione di come il cervello potesse produrre
elettricità appariva fantascienza piuttosto che solido
cartesianesimo.
Non
di meno molti credettero alla scoperta di Berger e si buttarono nello
studio sperimentale della fenomenologia elettrica del cervello, dando
luogo a una preziosa branca della semeiologia neurologica che oggi è
correntemente usata: l'elettroencefalografia.
L'attività
elettrica del cervello come quella di qualunque oggetto produttore di
elettricità, può essere quantificata secondo la legge di Ohm: E = I
x R, ovvero potenziale = intensità per resistenza.
Per
varie ragioni che non sono state scoperte da Berger, si è scoperto
che è più utile e significativo studiare le variazioni di
potenziale piuttosto che le altre e queste vengono registrate solo
dalla superficie corticale del cervello piuttosto che da altre
regioni. In altre parole, l'elettroencefalogramma (EEG) è
l'espressione delle variazioni di potenziale della corteccia del
cervello in ogni istante di una registrazione. Naturalmente queste
variazioni variano da un punto all'altro della superficie corticale
(per es., dai poli frontali a quelli occipitali),
ma si è scoperto che queste variazioni seguono una logica precisa, o
meglio, seguono una precisa simmetria, che non è solo antero -
posteriore ma è anche speculare tra un emisfero e l'altro, cosicché
una volta studiate tutte le possibili variazioni in funzione di
elementi relativamente banali, quali l'avere gli occhi chiusi o
aperti, l'essere seduti o distesi, il non pensare a nulla o l'essere
impegnati in un complicato calcolo mentale, l'aver assunto certe
sostanze piuttosto che muovere una mano ritmicamente, si è venuti in
possesso di uno strumento interpretativo decisamente utile: può
essere usato per fare diagnosi di tumori cerebrali, di epilessia, di
lesioni degenerative di varie strutture profonde, di insufficienze
vascolari e così via.
Il
principio fondamentale dell'EEG sembra essere la sincronizzazione o
la desincronizzazione delle migliaia di neuroni la cui attività dà,
appunto, luogo al tracciato elettrocorticale.
Per
capire questo concetto, solitamente si ricorre a un paragone
audiovisivo: immaginate un cinematografo o un teatro o, insomma, un
luogo nel quale siano riunite moltissime persone. Immaginate che
questo assieme di individui non sia altro che la corteccia cerebrale,
e cioè un'assemblea di neuroni (di elementi modulari). Se tutti gli
individui (tutti i neuroni) parlano tra loro, a voce alta o bassa,
rivolgendosi a un solo altro individuo, oppure a tre o a quattro
persone, il risultato sarà un chiacchiericcio indistinto e
inintelligibile, sarà una "asincronia" d'attività dei
singoli moduli. Se invece un coordinatore salisse sul palco del
teatro e guidasse l'attività dei convenuti, dicendo, per es., "Al
mio comando, urlate la parola Maria", l'attività dei singoli
moduli verrebbe "sincronizzata" secondo precisi schemi
spazio - temporali.
L'EEG
funziona proprio così: nella veglia, tutti i neuroni scaricano
capricciosamente a caso, uno: indipendentemente dall'altro, in modo
asincrono, dando luogo a un ritmo, chiamato "beta", che è
composto da onde di potenziale piccole, frequenti e diverse una
dall'altra. In una condizione di sincronizzazione, invece, come per
esempio nel ritmo alfa, la maggior parte dei neuroni della corteccia
scarica nel medesimo istante in cui scaricano tutti gli altri e il
risultato non può essere altro che una "ordinata" sequenza
di onde ampie e regolari, così come verrebbe avvertita la voce del
pubblico nel cinematografo dell'esempio fatto prima, quando il
coordinatore desse il "via" alla pronuncia della parola
"Maria". Sulla semplice base di queste due condizioni
opposte, l'elettroencefalografia è in grado di diagnosticare un
disturbo: è ovvio che se quando ci si aspetta del ritmo alfa in un
determinato punto della superficie corticale si vede invece un altro
ritmo, in quel punto c'è qualcosa che non va. Come se, nel nostro
cinematografo, un gruppo di spettatori si fosse addormentato e non
partecipasse più alla pronunzia collettiva del nome "Maria".
Il
fatto è che in condizioni di normalità, in condizioni fisiologiche,
esiste effettivamente un "coordinatore" dei ritmi e che
quando esso stesso non funziona bene, tutta l'attività EEG ne
risulta alterata.
Per
la verità, esistono diversi coordinatori principali (che regolano
I'EEG degli stati di coscienza; quali la veglia, il sonno o lo stato
di sogno) e dei coordinatori secondari, che partecipano o
contribuiscono all'attività generale, o meglio, finale, perché
essendo l'EEG la registrazione dell'attività della corteccia è come
l'espressione dello stato della superficie di un lago: se nelle
profondità si manifestano delle turbolenze, in superficie si
vedranno onde o gorghi in corrispondenza dei punti di turbolenza
profondi.
E',
per esempio, il caso dell'epilessia, che si manifesta proprio così:
come una tempesta proveniente dalle profondità, che sconvolge
l'ordine elettrico della corteccia (e non solo quello).
Fin
dagli albori dell'elettroencefalografia (ma anche in epoca
contemporanea) si era sperato che lo studio dell'attività elettrica
del cervello potesse aiutarci a capire qualcosa del funzionamento
della psiche, del pensiero o di altri fenomeni, magari straordinari.
In realtà il rapporto tra onde EEG e stati psichici e/o mentali è
molto grossolano, anche se, come si vedrà, tali relazioni possono
essere sfruttate con ottimi risultati. La Convenzione
Elettroencefalografica Internazionale codifica quattro ritmi
principali, ai quali sono correlati altrettanti stati di coscienza
più o meno riconoscibili. Il ritmo beta è quello compreso tra i 13
e i 32-45 Hertz (lo Hertz è l'unità di misura dei fenomeni
oscillatori e cioè il numero di oscillazioni al secondo) Il beta è
il ritmo caratteristico dello stato di veglia e tende alle alte
frequenze in funzione dell'attività, mentale in corso (per es.,
sforzo attentivo, calcolo mentale, stato emozionale intenso, ecc.).
Le frequenze si abbassano in situazioni inverse, che si avvicinano al
rilassamento. Il beta è anche il ritmo che caratterizza lo stato di
sogno: malgrado il corpo sia profondamente rilassato (addirittura
contemporaneamente paralizzato), il cervello, o meglio la corteccia
cerebrale, sono attivi come durante la veglia. Questa apparente
contraddizione ha fatto sl
che il sonno con
sogno, negli anni sessanta, venisse anche chiamato "sonno
paradosso".
Il
ritmo alfa è quello compreso tra gli 8 e i 12 hertz. E' un ritmo che
nasce spontaneamente nelle regioni posteriori del cervello, con la
semplice chiusura degli occhi. Se dopo ciò, il soggetto si rilassa
intenzionalmente, il ritmo si diffonde a tutto il mantello cerebrale
e aumenta di ampiezza. Lo stato interno che i soggetti in alfa
avvertono è generalmente di quiete e benessere, ma non mancano
coloro che hanno un'esperienza sgradevole, di inquietudine e di lieve
angoscia.
Un
ritmo alfa stabile di grande voltaggio (con onde ampie) è certamente
associato a un buon grado di "distacco dalla realtà", nel
senso che, per mantenerlo, un soggetto deve essere in grado di non
prestare attenzione agli stimoli ambientali e per riuscire in questo
deve essere in grado di concentrare l'attenzione su "oggetti"
interni, siano essi sensazioni, immagini, pensieri. Poiché una
simile pratica è ciò che fanno da secoli i meditatori sia orientali
che occidentali, il rimo alfa è stato considerato una specie di
porta di passaggio verso l'autocontrollo interiore. Ciò è
rigorosamente vero, come dimostrò un esperimento su maestri yoga che
riuscivano a continuare a produrre alfa stabile e di grande ampiezza
malgrado dovessero tenere una mano immersa nell'acqua ghiacciata. I
non meditatori non sono in grado di fare ciò. Tuttavia,
l'allenamento a produrre alfa non ha grandi effetti terapeutici, come
dire che calma la mente, ma non raggiunge il livello somatico, a meno
che non venga associato ad altre pratiche, quali per esempio
visualizzazioni fisse o simboliche, visualizzazioni dinamiche,
percezione ragionata di segnali somatici.
Nel
1958 un ricercatore californiano, Joe Kamyia, mise a punto la tecnica
di addestramento per imparare a produrre ritmo alfa stabile e di
grande ampiezza. Oggi questa tecnica fa parte delle tecniche note
come Biofeedback e non è difficile diventare buoni produttori di
alfa in dieci sedute. In pratica, si viene collegati a un
encefalografo che registra l'attività di un intero emisfero.
Mediante un sistema di filtri e di conversione dei segnali, tutte le
volte che si entra nel ritmo alfa, lo strumento invia un segnale in
modo che si è in grado di capire come fare e cosa fare per
continuare a produrlo. L'addestramento viene solitamente fatto in
posizione distesa e il segnale di feedback viene ricevuto in una
cuffia stereofonica, in modo da poter tenere gli occhi chiusi e
"l'attenzione dentro".
Come
si è detto, questa pratica ha scarse virtù terapeutiche (mentre in
un primo tempo si era pensato che potesse avere le stesse virtù di
una qualunque tecnica di rilassamento come il training autogeno) ma
può ben essere considerata come punto di partenza per un percorso di
autocontrollo degli stati interni, la cui utilità va oltre la
terapia dell'ansia e dello stress. Dopo l'alfa, la Convenzione
Elettroencefalografica riconosce come individualizzabile un altro
ritmo, il theta, che ha frequenze tra i 4 e gli 8 Hertz e che, in
condizioni fisiologiche, viene prodotto in grande quantità (fino ad
occupare il 90% del tracciato EEG) durante la fase
dell'addormentamento, detta anche fase di presonno oppure stato
ipnagogico.
Il
theta è un ritmo molto interessante: allo stato di veglia, quando se
ne produce un po' per qualche secondo, sembra essere associato
all'emersione di ricordi remoti oppure a uno stato come di
sospensione sognante tra due realtà. Queste sono anche le
caratteristiche dello stato ipnagogico, stato che tutti viviamo prima
di addormentarci: sappiamo pertanto che è uno stato molto piacevole,
nel quale l'attività mentale è centrata sul ricordo della giornata
o su fantasie di futuribili. Le ricerche hanno tuttavia dimostrato
che lo stato ipnagogico è anche caratterizzato da altre
fenomenologie che sfuggono a chi lo vive per quei pochi secondi che
precedono il sonno, ma che si riescono ad avvertire se lo si vive più
a lungo. Innanzitutto, la coscienza è come sdoppiata: la coscienza
vigile, sebbene in uno stato crepuscolare, "assiste", per
così dire, all'emersione nella scena percettiva di materiali
intrusivi, estranei (non pensati) che sembrano talvolta veri e propri
brani di sogni. E in effetti, la coscienza della veglia può
osservare quella del sogno, perché per questi attimi le due
coscienze coesistono. Il materiale intrusivo consiste in vere e
proprie allucinazioni che possono essere visive, uditive, tattili,
cinestesiche e che come tutte le allucinazioni possono essere
talmente vivide da indurci a "controllare" la loro verità,
nel senso che se si era udita una voce si aprono gli occhi per vedere
chi c'è nella stanza, se si aveva avuto una sensazione di
"presenza", si accende la luce per vedere chi si è
introdotto in camera da letto, se si aveva avuto la sensazione di
essere toccati, si ha lo spavento di pensare un estraneo tra le
lenzuola. Le allucinazioni visive, molto piacevoli, vengono ricordate
anche nei giorni successivi. Nello stato ipnagogico compare un tipo
di pensiero, detto associativo, o primario, che è caratteristico del
sogno e, quel più conta, la coscienza della veglia che è attiva,
registra ciò che il pensiero associativo ha pensato, e lo ricorda.
In pratica, la situazione assomiglia ad un assopirsi e ad un
risvegliarsi continuamente, in modo dolce e sognante, perché non ci
si addormenta come non ci si sveglia del tutto.
Il
pensiero associativo sembra essere quello delle intuizioni geniali,
dell'improvvisa risoluzione di problemi tormentosi, quello delle
illuminazioni esistenziali e da ciò si capisce quali potrebbero
essere i vantaggi di autoindursi lo stato ipnagogico a volontà.
L'addestramento a produrre onde theta non è diverso da quello
descritto per il biofeedback alfa: la strumentazione è la stessa,
l'esercizio di concentrazione - rilassamento è uguale, le difficoltà
solo un poco più impegnative.
Gli
effetti di un training theta vanno oltre l'autogestione della
creatività. Innanzitutto possono costituire l'inizio di un percorso
di autocoscienza più incisivo di quello che può innestare un
training alfa. E poi si ha la netta impressione di entrare in
contatto con una realtà trascendente al tempo stesso affascinante e
paurosa.
Per
quel che riguarda le allucinazioni :visive, per es., si tratta di
simboli, volti, occhi oppure di scene, vere e proprie, spesso
provenienti da ricordi di vita vissuta, da sogni già fatti, da film
o spettacoli televisivi, ma spesso anche di scene completamente
aliene alla memoria del
passato, che si accompagnano alla sensazione che si tratti di
premonizioni, squarci nel velo del futuro, come se nello stato
ipnagogico possano operare quelle mitiche possibilità
extrasensoriali che molti riconoscono al nostro cervello. Più
spesso, le allucinosi visive fanno vivere esperienze emblematiche che
si ritrovano nella simbologia esoterica di varie tradizioni
culturali, quale per es., l'esperienza del tunnel, ovvero
l'esperienza di un - passaggio, difficile e pauroso, attraverso una
cavità oscura, un cunicolo penoso al di là del quale brilla il
sole, fioriscono gli alberi e regna la pace imperitura: quasi
l'esperienza di una rinascita. Anche le allucinazioni uditive sono
talvolta intrise di questo significato ultimativo: una voce
sconosciuta, maschile o femminile, ma autorevole, detta regole,
suggerisce cambiamenti, prescrive nuovi comportamenti.
Molti
ricercatori sono giunti alla convinzione che coloro che praticano
intensamente la meditazione, raggiungono inconsapevolmente lo "stato
theta" e confondono i fenomeni allucinatori che vi si
manifestano con avvenimenti sovrannaturali. La psichiatria chiama
questa possibilità col nome di illusione. L'illuso è in buona fede,
ma i fenomeni che vive sono percezioni devianti e non extraumane.
E'
in questo senso che un training theta innesca un percorso
autoconoscitivo più profondo di quello che intraprende un produttore
di alfa: quando arriva ad incrociare "l'irrealtà della realtà",
deve far fronte a dei dubbi che mettono in discussione non solo la
realtà individuale, ma addirittura il mondo. Non a caso le filosofie
orientali sostengono che la realtà è maya, illusione.
Il
ritmo theta, dunque, sembra essere la regione elettroencefalografica
più interessante di tutto lo spettro. Sembra essere quello che
corrisponde a uno stato di coscienza molto connotato, facilmente
riconoscibile e decisamente diverso dallo stato di coscienza
ordinario. L'ultimo ritmo che la Convezione EEG Internazionale
riconosce come autonomo, infatti, il ritmo delta (che ha frequenze
comprese tra 0,5 e 4 Hertz) non corrisponde a vissuti particolarmente
incisivi, anzi, corrisponde piuttosto a una sensazione di vuoto e di
buio che ad un'esperienza con contenuti degni di memoria.
Grandi
quantità di ritmo delta nell'EEG, in condizioni fisiologiche si
trovano solo negli stadi più profondi del sonno senza sogni, mentre
in condizioni patologiche il ritmo delta caratterizza l'EEG del
coma.: Ambedue le situazioni a loro volta sembrano caratterizzate da
un "riposo funzionale" dei cosiddetti centri nervosi
superiori e una riduzione dell'attività in corrispondenza delle
parti più profonde del cervello. Di fatto, sia il sonno profondo che
il coma non hanno memoria. Il vissuto di chi si sottopone a un
training delta è perlopiù sgradevole, caratterizzato da sensazioni
di irrigidimento muscolare e senso di minaccia incombente.
Un
tempo si pensava che il ritmo delta caratterizzasse certi tipi di
trance, come quella medianica, durante la quale la tradizione
pretende che uno spirito o comunque un'entità, si sostituisca
temporaneamente alla personalità, alla mente e alla psiche
dell'ospite, e cioè del medium. Le registrazioni EEG hanno smentito
questa possibilità: la trance si accompagna a vari ritmi,
praticamente tutti, eccetto il delta.
L'entusiasmo
iniziale degli elettroencefalografisti (come quello attuale, di chi
non ha molta familiarità con l'elettroencefalografia) sulla
possibilità di correlare certi tipi di onde ad altrettanti fenomeni
o stati di coscienza, ha dovuto ridimensionarsi notevolmente di
fronte alla complessità della materia.
E'
certamente possibile essere addestrati a produrre ritmi precisi per
periodi di tempo anche lunghi, ma questa pratica non dà risultati
entusiasmanti. E' un po' come se, sapendo che l'EEG del sogno è
caratterizzato da ritmo beta, ci si addestrasse non solo a sognare (a
entrare in stato onirico) ma si pretendesse di fare sempre lo stesso
sogno.
L'EEG
normale è una miscela di tutti i ritmi: il beta e l'alfa
predominano, costituendo circa il 90/95 % delle frequenze. Il testo è
theta (3/ 4%) e delta (addirittura 0,5/1%).
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