lunedì 17 ottobre 2011

LA VASCA DI RESTRIZIONE SENSORIALE (M. Palmieri)


La vasca di restrizione sensoriale: un esame psicofisiologico delle prospettive di utilizzo

Massimiliano Palmieri
Psicologo, Roma

La descrizione
La prima vasca di restrizione sensoriale fu messa a punto dal Dott. J.C. Lilly, medico con studi di psicoanalisi e specializzato in neuropsicologia.
Egli, mentre si occupava della questione dell’origine dell’attività conscia del cervello, scoprì che la restrizione sensoriale nella vasca, cioè l’assenza in questa dei normali stimoli a cui siamo abituati (luce, suoni, odori, la percezione della forza di gravità, le sensazioni tattili), proiettava la mente in stati elaborati d’esperienza interna.
Le moderne vasche di galleggiamento costituiscono un’evoluzione della vasca di Lilly; costruite in vetroresina, sono riempite con una soluzione satura di sali di EPSOM (MgSO4-7H2O); ciò equivale ad una salinità pari a cinque volte quella del mare, per cui il galleggiamento è possibile in soli venti centimetri di liquido.
La temperatura dell’acqua è mantenuta alla stessa dell’epidermide, lo strato più superficiale della pelle, per cui il contatto con questa è quasi impalpabile.
La restrizione sensoriale è ottenuta per mezzo dell’ambiente insonorizzato, buio, termoregolato e dalla straordinaria capacità di galleggiamento che permette la soluzione salina, che crea condizioni di riduzione della gravità e facilita il rilassamento muscolare.
La limitazione delle stimolazioni provenienti dall’esterno produce un fenomeno chiamato “risposta parasimpatica”; tensione muscolare, pressione sanguigna, battito cardiaco e consumo di ossigeno si autoregolano verso condizioni ottimali, così come la produzione di ormoni legati allo stress, come adrenalina, cortisolo e acetilcolina, che vengono sostituiti dalle benefiche endorfine.
Inoltre, le onde cerebrali subiscono una modificazione; dallo stato beta (attività di veglia cosciente) attraversando lo stato alpha (rilassamento senza pensieri), arrivano allo stato theta (rilassamento profondo); quest’ultimo stato si sperimenta di norma, pochi istanti prima di addormentarsi, ma nella vasca può essere prolungato per gran parte della sessione.
L’uso della vasca di galleggiamento è indicato per problemi quali: asma, artrite reumatoide, emicranie, mal di schiena, insonnia, oltre che per l’evoluzione personale e l’esplorazione della coscienza.
Le uniche limitazioni sono patologie come l’epilessia, la schizofrenia o problematiche psichiatriche gravi.
Inoltre, all’interno della vasca, se lo si desidera, è possibile ascoltare musica, vedere filmati o, grazie ad un sistema di ventilazione, fare aromaterapia.
Ritengo tale premessa descrittiva fondamentale, anche se, mi rendo conto che possa apparire troppo stringata, ma enumerare esaurientemente tutte le caratteristiche della vasca di galleggiamento richiederebbe veramente molto spazio; il lettore desideroso di avvicinarsi a questo strumento di conoscenza, potrà comunque personalmente approfondirne i dettagli tecnici e consultare i testi, seppur pochi, che ne parlano, indicati in bibliografia.

Lo stato theta
Caratteristica fondante e pertinente a numerosi stati di coscienza che chiamano in causa un ampliamento dell’Io, una sua espansione, incluso quello sperimentabile all’interno della vasca di galleggiamento, è la presenza, sul tracciato elettroencefalografico, di chi questi stai li sperimenta, di onde chiamate “theta”.
Attraverso le tecniche di registrazione dell’attività elettrica cerebrale, l’elettroencefalografia per l’appunto, è possibile rilevare differenti misure di ampiezza e di frequenza, al variare dell’attività del cervello stesso, e quindi anche dello stato di coscienza.
Troveremo quindi sul tracciato elettroencefalografico, diverse bande di frequenza: la beta, generalmente sopra i 15 Hz, che si evidenzia in condizioni di elevata vigilanza; la banda alpha, normalmente compresa tra 8 ed 11 Hz, tipica della veglia rilassata in condizioni di scarsa stimolazione visiva; quella denominata theta, che ha frequenze comprese tra 3,5 e 7,5 Hz, che è caratteristica dello stato di transizione dalla veglia al sonno profondo, e la banda delta, con frequenze minori di 3,5 Hz (onde lente), che costituisce il sonno profondo vero e proprio (Horne, 1988).
Buona parte del sonno umano, circa il 45%, è composto dallo stadio 2, caratterizzato dalla presenza di attività con frequenza theta, da fusi del sonno e da complessi K.
I fusi, denominati anche attività sigma, consistono in raffiche di onde di 12-14 Hz, della durata di 0,5-1 secondi e sono presenti in tutti gli stadi del sonno, eccetto nello stadio 1 e nel sonno REM e sono particolarmente evidenti durante lo stadio 2, che è composto per la gran parte di onde theta (ibidem). Ricordiamo che Il sonno umano è suddiviso in stadi.
La veglia, talvolta chiamata anche stadio 0, è contraddistinta da attività alpha e beta.
Lo stadio 1 costituisce in realtà una transizione dalla veglia al vero sonno, ed occupa di solito solo il 5% di questo; è caratterizzato da attività theta e scomparsa del ritmo alpha.
Lo stadio 2 occupa il 45 % del sonno.
Lo stadio 3 costituisce sopratutto una fase di transizione fra lo stadio 2 ed il 4 e rappresenta il 7 % circa del sonno; contiene attività delta, che occupa una percentuale compresa tra il 20 ed il 50 %.
Quando la durata di tale attività supera il 50 %, si raggiunge il sonno profondo, lo stadio 4, che rappresenta meno del 13 % del sonno totale.
Il sonno REM compare regolarmente durante il corso della notte; l’intervallo di tempo che separa l’inizio di un episodio REM, dall’inizio del seguente, nell’uomo è di 30 minuti.
All’interno della vasca di restrizione sensoriale, la significativa riduzione degli stimoli esterni proietta il soggetto in uno stato che, elettroencefalograficamente può definirsi theta; questa particolare condizione contraddistingue anche numerosi stati meditativi profondi, ma essendo presente nello stadio 2, viene considerato alla stregua di questo, come quella parte del sonno della quale si può fare a meno, sebbene ne occupi anche la maggior parte.
Ora, se mettiamo insieme questi dati, avremo che: 1) lo stato theta contraddistingue la fase di transizione dalla veglia al sonno profondo delta; 2) tale stato può essere prolungato nella vasca attraverso la restrizione sensoriale (Hutchinson, 1984) o con tecniche meditative che comunque comportano una drastica riduzione della stimolazione esterna; 3) lo stadio 2 di sonno è quello di cui l’essere umano può privarsi più facilmente senza risentirne (Horne, 1988).
Abbiamo due dati contrastanti: lo stato theta, all’interno dello stadio 2 di sonno, è lo stato che meno ha bisogno di essere recuperato ma, un suo prolungamento porta a livelli di coscienza profonda che, “oltre alla crescita personale ed all’espansione della normale consapevolezza, ci dona sensazioni di benessere” (Hutchinson, 1984).
Se non c’è pazienza, ma se c’è tanto meglio ?
Al di là di questa profana osservazione, un dato però è certo: questo particolare tipo di attività elettrica cerebrale rappresenta sempre più oggetto di indagini nell’ambito degli studi sugli stati di coscienza e forse potrebbe costituire un importante indice psicofisiologico utile per “mappare”, diciamo così, cambiamenti degli stati di coscienza stessi.
Non da ultimo, c’è da considerare uno stato di coscienza specifico, lo stato ipnagogico, all’interno del quale l’attività theta raggiunge percentuali molto elevate (durante la veglia questo tipo di attività elettroencefalografica raggiunge di norma solamente il 4%).
Lo stato ipnagogico è altrimenti noto come “stato di pre-sonno” ed è la condizione mentale che precede l’addormentamento.
A livello psicofisiologico è caratterizzato da un profondo rilassamento somatico, con la cessazione dei movimenti volontari, la diminuzione del tono muscolare, della frequenza cardiaca e di quella respiratoria.
A livello nervoso centrale, il correlato neurofisiologico più importante è l’alta densità elettroencefalografia proprio del ritmo theta.
A livello mentale lo stato ipnagogico si caratterizza per la presenza di un notevole numero di fenomeni.
Si assiste al cambiamento della processualità con cui si svolge il pensiero, al passaggio dal processo di pensiero secondario, logico-critico, al processo primario, associativo-intuitivo (Margnelli, 2004).
In realtà i due processi co-esistono e si alternano l’un l’altro in modo continuo, cosicché la coscienza della veglia è come “spettatrice” di un’esperienza (allucinatoria ed intuitiva) che in un certo qual modo le sfugge al controllo (ibidem).
Si ritiene che la comparsa del processo primario corrisponda ad una vera e propria attivazione della coscienza del sogno che, dunque, coesisterebbe con quella della veglia, alternandosi in modo subentrante ad essa, fin dall’inizio del sonno (ibidem).
Lo stato ipnagogico è caratterizzato inoltre, da un fenomeno detto di “autosimbolizzazione”, che sembra dimostrare la stretta vicinanza tra la coscienza della veglia e quella del sonno; esso consiste nella tras-formazione di un percetto sensoriale che raggiunge ancora la coscienza della veglia, in un’allucinazione ipnagogica; un rumore o un suono, per esempio, possono essere trasformati in un contenuto allucinatorio che può andare anche molto oltre il significato della sensazione originaria (ibidem) e questo è proprio ciò che si verifica sovente all’interno della vasca di restrizione sensoriale (Hutchinson, 1984).
Il simbolo di infinito che riunisce tra loro l’estasi ed il samadhi simboleggia la possibilità di passaggio dall’uno all’altro stato senza dover transitare per le tappe dei continuum ergotrofico e trofotrofico.
I numeri da 35 a 7 sono coefficienti di variabilità elttroencefalografica secondo Goldstein ed indicano che l’aumento di attivazione ergotrofica si accompagna ad una netta diminuzione della variabilità EEG.
I numeri da 26 a 4 sul continuum trofotrofico esprimono le frequenze in Hertz che predominano negli stati beta, alpha e theta (Fischer, 1971).


Come avviene la restrizione sensoriale all’interno della vasca ?
La vasca di galleggiamento permette di ottenere una condizione molto particolare, in cui tutti gli stimoli sensoriali che normalmente entrano in contatto con i nostri organi di senso, vengono ridotti, ristretti appunto, così che al nostro cervello resta molta energia, in termini di attenzione/consapevolezza, inutilizzata.
Come ho già accennato prima, i testi che tratto la vasca di galleggiamento sono veramente pochi, e pressoché nessuno spiega in termini esaurienti come avvenga realmente la restrizione sensoriale al suo interno; è per questo che ho cercato, per mezzo di uno schema, di evidenziare, spero in modo comprensibile, come tutte le afferenze sensoriali vengono limitate, limitando quindi anche l’attività dei recettori coinvolti.

La restrizione sensoriale viene ottenuta attraverso modalità diverse per ciascun sistema sensoriale.
Per quanto riguarda sia le stimolazioni tattili propriamente dette, che quelle di tipo termico, la limitazione sensoriale è ottenuta mantenendo sia la temperatura della soluzione, che quella dell’aria, alla medesima dello strato superficiale della pelle (l’epidermide), così che la soglia dalla quale in poi i recettori cutanei iniziano ad inviare i loro segnali (circa 35 C°), non viene superata (Hutchinson, 1984); ciò si traduce in assenza di stimolazioni tattili.
Per quanto riguarda i recettori visivi, l’ambiente all’interno della vasca è completamente buio, quindi ciò che viene segnalato al sistema nervoso centrale dagli occhi è questo, un ambiente assolutamente privo di luce. Questo, è del resto soggettivamente comprensibile, all’interno della vasca di galleggiamento, dal momento che, anche dopo l’adattamento dei recettori visivi all’ambiente privo d’illuminazione, l’apertura e la chiusura in rapida successione degli occhi, non permette di vedere alcunché.
I recettori acustici, presenti all’interno del sistema acustico (vestibolo-cocleare), non ricevono alcun tipo di input dall’esterno, poiché il galleggiatore indosserà prima di entrare, dei tappi per le orecchie che si adattano perfettamente ai condotti auricolari, chiudendoli ermeticamente.
Le cavità nasali costituiscono un ingresso ed un’uscita per l’aria che respiriamo; durante questi processi, le particelle odorifere presenti nell’aria, vengono a contatto nella mucosa nasale, con i recettori olfattivi che le analizzano segnalando poi a livello centrale, al cervello, che è stato percepito uno specifico odore, perciò se volessimo eliminare, all’interno della vasca, la possibilità di percepire gli odori, avremo la necessità di chiudere le cavità nasali, influendo così però anche sui processi respiratori.
Premesso ciò ipotizzo che, per quanto attiene gli input sensoriali olfattivi, subentri un processo di abituazione piuttosto che di restrizione.
Sempre all’interno del sistema acustico (vestibolo-cocleare) sono presenti altri tipi di recettori, oltre a quelli deputati alla trasduzione del suono, che hanno il compito di provvedere ad inviare al cervello, parte delle informazioni relative alla propriocezione, nel senso di fornire dati che, integrati con altri, segnaleranno la posizione del corpo nello spazio (Kandel, Jessen, Schwartz, 1985).
Il sistema deputato alla rilevazione della posizione del nostro corpo nello spazio (propriocettivo vestibolare) è influenzato direttamente, per ciò che qui ci interessa, attraverso la potente spinta antigravitaria che i sali di EPSOM esercitano sul corpo; questo crea una condizione di assenza di gravità, o meglio, di microgravità, che sopprime le afferenze di origine gravitaria provenienti dall’orecchio interno (organi otolitici nel vestibolo) (Perrìn et. al., 1987). Gli organi otolitici, presenti nell’orecchio interno, nella sua porzione vestibolare, hanno la funzione di rilevare l’accelerazione lineare cui è sottoposto il capo durante il movimento e la posizione di questo rispetto alla forza di gravità; per approfondimenti, vedi un qualunque testo di neuroanatomia.
La forte spinta fornita alla persona impegnata nel galleggiamento è adeguata a contrastare la forza di gravità, non così potente da annullarla, ma capace di ridurla in misura notevole.
Proprio perciò è necessario, per correttezza, parlare di microgravità, anche se per comodità di esposizione ho utilizzato entrambi i termini come sinonimi.
Ciò dunque, si traduce in informazioni, a partenza dai recettori muscolari (propriocettori muscolari e tendinei) disposti in tutto il corpo, di microgravità (Hutchinson, 1984); il che significa che al sistema nervoso centrale non giungeranno più le informazioni necessarie al mantenimento del tono muscolare di base, occorrente per contrastare tale forza; inoltre, dopo che il cervello ha ricevuto questi dati dalla periferia somatica, a sua volta li invierà ai recettori prima menzionati, influenzandoli ulteriormente, nel senso di una ulteriore riduzione di tono, in un gioco circolare tra il centro-cervello e la periferia corporea.
Le informazioni circa la microgravità, come su esposto, comportano la soppressione delle afferenze provenienti dall’orecchio interno responsabili della de-codifica del segnale gravitario.
Ora, dato che sono numerose le evidenze di un’influenza di tali afferenze sul riflesso che media la posizione del corpo in base alle informazioni provenienti dall’orecchio interno stesso (riflesso vestibolo-spinale), nelle differenti condizioni di gravità (Parker, 1981, Vedi anche Lackner, The equilibrium system of astronauts, 1992, per il confronto della situazione microgravitaria ottenibile nella vasca di galleggiamento, con una condizione patologica degli astronauti in condizioni di gravità zero, “il mal di spazio”), si renderà evidente il ruolo che gli organi presenti nell’apparato vestibolare (orecchio interno) hanno nella modulazione del tono posturale (muscolare); ciò quindi darà origine a scambi di informazioni, mediate dal sistema nervoso centrale, tra gli organi otolitici, all’interno dell’orecchio ed il sistema muscolare; informazioni di riduzione del tono (tensione) muscolare di base, poiché la microgravità non impone il mantenimento di questo, come invece accade in condizioni di normale stimolazione sensoriale.
Il punto centrale dello schema sono proprio le informazioni provenienti dal sistema muscolare; la riduzione del tono muscolare porta alla modifica della percezione del proprio corpo, dei confini corporei, dei confini del proprio Io, che a sua volta porta ad una modifica della coscienza di base (approccio per sistemi a gli stati di coscienza; Tart, 1975), che a sua volta, in un gioco circolare tra centro e periferia corporea, influenzerà la percezione dei propri confini corporei.
Sappiamo inoltre che, modifiche della coscienza possono influenzare il sistema vestibolo-cocleare (l’orecchio interno), nella sua porzione vestibolare e che questo è variamente interconnesso alla percezione dei propri confini corporei (Schilder, 1935).
Dunque, le informazioni di assenza di stimolazioni a livello cutaneo, visivo, acustico, olfattivo e propriocettivo muscolare e vestibolare, vengono trasmesse attraverso reafferentazioni di ritorno, al sistema nervoso centrale e questo a sua volta contribuisce ad influire sullo stato di coscienza. Sostengo l’assenza, indistintamente per tutte le afferenze sensoriali, solo per comodità, poiché abbiamo visto che per la percezione olfattiva non è così.
La vasca di galleggiamento dunque, permette la riduzione di gran parte delle afferenze sensoriali, proiettando il galleggiatore in una realtà “altra”, dove i confini corporei, ma possiamo parlare di confini dell’Io, essendo questo insediato nel corpo, si fanno via via sempre più labili ed indistinti permettendo vissuti di fusione con l’ambiente circostante e di espansione della coscienza.

Indistinzione, coesione e trascendenza dell’Io attraverso il percorso dell’appoggio e della fiducia
Le modalità con le quali si esplica la restrizione sensoriale all’interno della vasca di galleggiamento e i dati che ho ottenuto dalla mi ricerca, oltre a costituire un’evidenza del legame stretto che esiste tra la modifica della coscienza ordinaria, che avviene all’interno della vasca stessa, ed il sentimento “unitivo” (De Martino, 2000), o di “fusione oceanica” (Freud, 1929), potranno essere presi in considerazione alla luce dell’enorme importanza che vengono ad assumere i confini corporei per l’individuo, rappresentanti come sono del primo contatto di questo con l’ambiente esterno, ma anche veicoli per esperienze autorealizzanti implicanti la temporanea perdita dei contorni corporei stessi.
Ora, se consideriamo l’importanza di possedere dei confini corporei elastici, tali da permettere una buona relazione con gli altri, è possibile ipotizzare che la vasca di restrizione sensoriale possa essere utilizzata in questo senso, che con essa sia cioè possibile una ri-definizione dei confini dell’Io meno rigidi, in modo tale da permettere una gestione più sana delle relazioni interpersonali.
La definizione-indistinzione dei confini costituisce una tematica importante per lo sviluppo del bambino nei primi mesi di vita.
Questi passerà gradualmente da un’esperienza simbiotica, di fusione con la madre (fase simbiotica; Mahler, 1978), di “illusione di un confine comune tra loro”, di “onnipotenza e grandiosità” (Kohut, 1971), attraverso esperienze di “frustrazioni ottimali”, alla separazione ed alla percezione di sé come distinto dall’altro.
Questo processo rappresenta la “maturità narcisistica”, che nella sua progressione passerà obbligatoriamente per il corpo, inteso come elemento strutturale dell’Io e per la definizione dei confini di questo, poiché “in questo ambito la coesione dell’Io non può prescindere dalla coesione dei processi corporei” (Ruggieri, Fabrizio, 1994).
Viene appreso un procedimento in virtù del quale, attraverso la guida intenzionale delle proprie attività sensorie ed un’opportuna azione muscolare, è possibile distinguere fra ciò che è interno, di proprietà dell’Io, e ciò che viene dal mondo esterno” (Freud, 1929).
La graduale differenziazione del me dal non-me è legata inoltre al concetto dell’appoggio, della scarica delle tensioni; dall’etero-appoggio, dall’appoggio sull’altro, si passa, nel corso della maturazione, all’auto-appoggio, alla capacità di scaricare il proprio peso corporeo e così di ridurre le tensioni muscolari.
L’esperienza dell’appoggiarsi è inoltre saldamente ed inscindibilmente legata alla costruzione della fiducia, che viene appresa già nel corso delle prime esperienze diadiche madre-figlio (Ruggieri, 2001).
Lo sperimentare nel bambino la sensazione di “caduta”, di mancanza del fondamentale etero-appoggio da parte della madre, causerà un innalzamento delle tensioni muscolari che in definitiva avranno lo scopo di opporsi al vissuto di “inconsistenza e disgregazione” incombente.
La capacità di appoggio (influendo notevolmente sul controllo delle tensioni muscolari) è strettamente collegata alla postura, all’atteggiamento posturale, che a sua volta riflette fedelmente la rappresentazione mentale che il soggetto ha di sé (tema legato all’immagine corporea), indicando come esso si colloca nel mondo e come esso immagina la propria relazione corpo-spazio, Sé-altro.
E’ possibile quindi, che l’individuo porti con sé tale nucleo fondamentale anche nell’età adulta, nucleo legato alle esperienze protomentali di sicurezza-insicurezza, stabilità-instabilità, incluse nella tematica diadica madre-figlio, indicate come modulatrici ed organizzatrici delle tensioni posturali di base nel corso della vita (ibidem).
L’operazione di costruzione dei confini corporei, separanti l’Io dal non-Io è uno dei processi fondamentali “protomentali”; sviluppando questo processo il soggetto costruisce attivamente non solo l’Io, ma anche il non-Io nella forma dello spazio esterno a sé.
Il termine “protomentale” è stato coniato da Bion (1962) per individuare e descrivere una particolare modalità di funzionamento della mente, che è presente e predominante nelle primissime fasi dello sviluppo.
Con tale termine questo autore intende riferirsi ad una serie di processi che si collocano in un’area di confine tra il somatico e lo psichico; sembra quasi che egli voglia così cogliere il momento in cui nascono i primi processi mentali.
Necessaria alla distinzione dell’Io da tutto ciò che non è tale, è la presenza di confini corporei stabili che, in sostanza limitino il nostro spazio interno (dalla pelle verso l’interno) dal nostro spazio esterno (dalla pelle verso l’esterno).
Si comprende dallo schema precedente come, nell’operazione di costruzione dello spazio siano coinvolti più canali sensoriali simultaneamente; visivo, acustico, propriocettivo (muscolare-somatico), ed è proprio questo ultimo che svolge la funzione particolare di componente base per la costruzione dell’esperienza corporea, della presenza dell’Io, esperienza che quindi è alla base sia della costruzione della propria immagine corporea, sia alla base della costruzione dello spazio esterno.
Nel modello psicofisiologico integrato, definito anche bioesistenzialista (Ruggieri, 1988) la circolarità del processo di costruzione dell’immagine corporea è centrale; questa si viene a formare nella regione del cervello chiamata lobo temporale e viene intesa come un sistema funzionale che è la risultante dell’integrazione di tutte le informazioni sensoriali. Ricordiamo che il “modello psicofisiologico integrato bioesistenzialista” in psicologia, studia ed integra i livelli funzionali biologici e psicologici, mentre prevede una circolarità tra l’attività del sistema nervoso centrale e la periferia del corpo; per approfondimenti del modello e della trattazione dell’immagine corporea, vedi Ruggieri, 1988, 1994, 1997a, 2001, e più recenti.

Dalla periferia del corpo provengono continuamente afferenze che contribuiscono a ri-strutturare in ogni momento l’immagine corporea.
Ora, all’interno della vasca di restrizione sensoriale, la potente spinta antigraviatria che permettono i sali di EPSOM, offrirà un appoggio attraverso il quale il soggetto potrà permettersi di “lasciarsi andare”, di “fidarsi”, scaricando il peso e riducendo le tensioni muscolari; il tutto sostenuto dall’aumento della permeabilità dei propri confini corporei, quasi come se fosse possibile sperimentare di nuovo l’epoca in cui la distinzione tra sé e l’altro era labile. I numerosi appellativi utilizzati per denominare la vasca di galleggiamento, fanno spesso riferimento a questa condizione unitiva di in distinzione calda e simbiotica.
Gran parte della problematica narcisistica, è considerata, all’interno di numerosi modelli dello sviluppo psicologico, come dipendente da interferenze intercorse in questo processo basilare che è caratterizzato dal passaggio dall’etero-appoggio (per esempio, appoggiarsi sulla madre, o all’interno di una psicoterapia, sul terapeuta) all’auto-appoggio (Ruggieri, 2001).
Penso che per molte situazioni cliniche implicanti una cattiva definizione, percezione e/o fruizione dei propri confini corporei, ergo delle proprie tensioni corporee, con un adeguato sostegno terapeutico durante le sessioni con la vasca, attraverso quindi la gestione ottimale del passaggio dall’etero-appoggio fornito dal terapeuta all’auto-appoggio realizzabile a causa della spinta data dai sali, sia possibile la trasposizione in un nuovo contesto (quello dell’età adulta e della sopraggiunta capacità maturativa) delle problematiche che sono la causa del disagio, permettendone un’analisi più approfondita ed accurata.
Per mezzo del “contenimento” che il terapeuta avrà l’obbligo di porre in atto1 (Poiché, a causa dell’assenza di una adeguata integrità narcisistica, potrà accadere che le temporanea negazione che l’Io dovrà fare di sé per aderire alla totalità esterna, porti il soggetto ad esperire angosciosi vissuti dis-integrativi; si può, in sostanza, essere sopraffatti da materiale emotivamente carico che non si è pronti ad affrontare. La riduzione delle tensioni muscolari, come accade nella vasca di restrizione sensoriale, può risultare pericoloso, se a questa non si accompagna un rinforzo dell’Io, rinforzo che inizia dalla costruzione dell’autofiducia attraverso concrete esperienze di appoggio e contenimento. La letteratura reichiana (Reich, 1973) chiama in causa proprio la liberazione dai “blocchi di energia” (rimozione meccanica delle contratture muscolari) come possibile causa delle estreme reazioni di angoscia di questi pazienti), il paziente potrebbe, attraverso l’acquisizione di una nuova rappresentazione dei propri confini corporei, sperimentare e gradualmente ottenere, il passaggio dalla condizione simbiotica di indifferenziazione tra se e l’altro, ad una nuova condizione di integrità ed unità che genererà il “piacere dell’esserci, il piacere narcisistico derivante dalla integrazione degli eventi corporei” (Ruggieri, 1997a).
Questa modalità di approccio proposta chiama in causa l’appoggio ed il contenimento, che potranno realizzarsi in maniera molto graduale, partendo dalle prime esperienze di indistinzione con l’altro, di confini comuni, fino a giungere alla separatezza auspicata, necessaria ad un buon vissuto dell’esserci.

La via muscolare al mondo transpersonale: oggettività scientifica all’interno di un’esperienza totalizzante
I muscoli, con le loro afferenze propriocettive forniscono una base sensoriale per la costruzione nucleare dell’immagine corporea.
Il calo del tono muscolare che avviene nella vasca di restrizione sensoriale, accompagnato dalla maggiore permeabilità dei confini corporei, permette la temporanea assenza delle sensazioni relative ai contorni del proprio corpo; un ritorno ad una condizione di “stato unitivo dal quale alla nascita saremo stati strappati” (De Martino, 2000).
Freud e Rolland (Freud, 1929), discutevano principalmente sulla “fusione oceanica”, sulla possibilità che questa rappresentasse il requisito per l’ottenimento in vita di un sentimento di religiosità; l’esperienza di assottigliamento dei confini corporei risulta parte integrante di questo processo.
La conferma del fatto che, data la residenza dell’Io all’interno dei confini corporei, l’Io stesso si espande verso l’esterno, o meglio diviene maggiormente permeabile verso l’ambiente esterno, supporta anche una altro dato, a prima vista marginale, se si adotta un’ottica clinico-terapeutica ortodossa; il sentimento inclusivo e fusionale dell’Io che è possibile sperimentare all’interno della vasca di galleggiamento si accompagna ad una modifica della coscienza di base, che rende evidente il nesso, da più parti indagato, tra la psicologia e la fisiologia, di questi stati “unitivi”.
Ovviamente quindi, queste considerazioni non possono non tener conto delle possibili utilizzazioni degli gli stati modificati di coscienza in ambito psicoterapeutico.
Nei “vissuti di confine”, negli “stati altri”, che rappresentano un trascendimento dei contenuti ordinari della coscienza, si assiste alla scomparsa dei normali limiti corporei, alla con-fusione tra questi ed il mondo circostante, “la sfera della coscienza estende il proprio diametro all’infinito, fino a farla coincidere con la sfera del cosmo, in un’indistinzione in cui l’individuo concepisce il cosmo stesso come personalità e le origini dell’universo come fatto psichico” (Venturini, 1995).
Se il nostro abituale senso dell’Io separato dall’altro, è fortemente ridotto o temporaneamente abolito in uno “stato di coscienza modificato”, ci si può sentire molto più vicino ad un’altra persona (Tart, 1975), come in una sorta di empatia esponenzialmente amplificata dall’assenza di confini.
Qui entra in gioco “la psicologia transpersonale che, superando il limite dell’identità personale, estendendo al di là dei confini individuali, lo studio di aspetti importanti dell’umanità e della vita, si è fatta erede dell’arte della trascendenza” (Venturini, 1995).
Nell’auto-trascendenza (che in definitiva è dei confini del proprio Io) sembra potersi ritrovare la risposta a domande che riguardano il cammino dell’uomo e la sua autorealizzazione; infatti è proprio attraverso la ricerca di questi “stati altri” che, per mezzo dell’identificazione con la coscienza universale, si può realizzare una condizione di profondo cambiamento mentale, nella direzione del superamento della soggettività biografica (ibidem).
La transizione ed il mutuo scambio dei contenuti auspicati rende evidente la necessità di una “temporanea” sospensione dei limiti tra l’Io ed il mondo esterno.
Sostiene Venturini che “al fine di operare quella reintegrazione del mondo in cui dovrebbe esitare il processo di autorealizzazione, è necessaria una ristrutturazione dell’assetto ordinario dei sistemi psicologici, il superamento dei loro confini e la realizzazione di un atteggiamento an-egoico; questo a sua volta, richiede, per prodursi, un cambiamento dello stato di coscienza, ottenuto attraverso il riassetto dei sottosistemi dell’elaborazione dell’input (Tart, 1975), del vissuto corporeo, dell’identità, etc.; è l’identità transpersonale la nuova identità che dilata quella (la vecchia) personale e si realizza con il portare in campo l’infinito, a cui l’Io personale si ancora in un processo di autotrascendenza, centrato sul cambiamento di coscienza” e sulla temporanea negazione della propria distinzione con il mondo esterno.
E’ infatti proprio in quella coscienza ordinaria e dualistica, che distingue e contrappone soggetto ed oggetto, Io e mondo, che si realizza il vissuto della separazione e del disagio avvertito dall’uomo. In termini di “approccio per sistemi agli stati di coscienza” (ibidem), l’Io è definito come avente continuità, coesione e coerenza nel suo funzionamento e come modificabile attraverso un cambiamento nel modello in cui questo funziona.
L’utilizzo della vasca di restrizione sensoriale, concepito come un’esperienza psicofisiologica globale può “aprire” a spazi mentali, ricordi rimossi dal campo della coscienza che, in un contesto di modifica di questa, diventano materiale da integrare nell’ambito della più ampia riorganizzazione dell’Io, attraverso l’autotrascendenza ed il superamento di quelli che Lilly (1967) chiamava i “meta-programmi”.
Il superamento di questi può avvenire solamente in un contesto di nuova definizione del proprio Io che, attraverso il superamento della concezione duale soggetto-oggetto, “mira al ritorno a quel sentimento omnicomprensivo che corrispondeva in passato ad una più intima com-unione con l’ambiente” (Freud, 1929).
Ecco allora il perché della doverosa necessità di attenzione che la psicologia transpersonale merita.
Le esperienze descritte da Grof (1998) quando parla delle Matrici Perinatali di Base (MPB), altro non sono che il verificarsi del trascendimento dei normali limiti personali e dell’Io che riportano esperenzialmente l’individuo “indietro” attraverso il canale del parto, ad una condizione di beatitudine indistinta, di regioni senza confini, quasi che l’utero venga nuovamente a rappresentare il canale di comunicazione tra la nuova, temporanea e più breve condizione di labilità dei propri confini e la progressiva ri-definizione di questi, in un contesto di maggiore capacità di analisi dovuta alle sopraggiunte capacità maturative.
In un ambiente come quello della vasca di restrizione sensoriale, sostenuto dal fenomeno della “risposta parasimpatica”, è possibile affrontare con maggiore serenità questo tipo di “ri-definizioni”, sostenuti come si è da un cambiamento che è: di tipo biochimico, che implica la riduzione dei livelli ormonali legati allo stress, come il cortisolo, così come la messa in circolo delle benefiche endorfine (Turner, Fine, 1990); di tipo fisiologico, che interessa la riduzione della tensione muscolare, della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria (ibidem); di tipo neurologico, dato l’ottenimento della sincronizzazione emisferica, che amplia le potenzialità di sviluppo umano includendo un utilizzo migliore e maggiore dell’emisfero destro (Hutchinson, 1984); di tipo psicologico, poiché la possibilità di ottenere tutti questi numerosi effetti benefici, ivi inclusa una migliore disposizione verso l’ambiente esterno, attraverso una maggiore permeabilità dell’Io, permette di essere maggiormente consapevoli attraverso l’autoesplorazione e l’autoindagine, di cognizioni e/o azioni che in qualche modo sono cruciali nella propria storia; di tipo sociale, per la possibilità di apertura verso gli altri, di migliorare il contatto con questi, di gestire in modo sano e migliore le relazioni interpersonali.
In ambito clinico applicativo, si è constatato che spesso gli interventi di tipo psicoterapeutico, basati solo sul colloquio, e/o di tipo farmacologico non bastano, mentre le esperienze interiori intense e dirette posseggono un grande potenziale sanante e trasformativo.
Il punto di incontro tra la psicoterapia classica e l’universo delle esperienze “totalizzanti e annullanti” caratteristiche delle filosofie orientali, è rappresentato dalla psicologia transpersonale che, aperta alla dimensione spirituale, è stata sviluppata da quegli psicologi che riconoscono l’esistenza di livelli di coscienza che trascendono i normali confini dell’Io e del pensiero razionale.
Questi allargarono il campo di studio, includendovi non solo la patologia, ma anche l’individuo sano con le sue potenzialità, e constatarono che a volte delle crisi esistenziali portavano ad esperienze trasformative che spingevano l’individuo alla realizzazione di sé e ad una nuova consapevolezza. L’induzione e l’utilizzo degli stati di coscienza alterati, in qualsivoglia modo vengano ottenuti, sono inserite, e da questa non si separano, nell’ambito della più ampia “ipotesi generale del set e del setting”, elaborata ad Harward negli anni settanta; il modello generalizzato del “set e del setting” negli stati modificati di coscienza, è una teoria che risale alle prime ricerche sugli psichedelici, iniziate da Timothy Leary, Ralph Metzner e Richard Alpert.
La teoria prendeva in esame i fattori dell’atteggiamento individuale (set), che comprendono attitudini interiori, personalità, motivazioni, aspettative, ed i fattori esterni (setting), quelli cioè relativi al contesto, all’ambiente esterno sia fisico che sociale, compresa la presenza di altre persone, come il terapeuta, il medico o la guida.
Certo, sarà necessario che vengano compiuti ancora studi sulle effettive potenzialità della vasca, nel senso della verifica della stabilità dell’effetto di maggiore permeabilità dei propri confini corporei attraverso il tempo, così come saranno necessarie altre indagini, che andranno ad analizzare puntualmente se l’ottenimento della possibilità di fruire di una maggiore permeabilità dei propri confini, sia migliorabile attraverso più sessioni.
Ritengo quindi saggia la conduzione di ulteriori studi che ne testino le piene potenzialità e che quindi ci permettano di utilizzarla in modo coscienzioso e giusto; al pari sono persuaso che sia palese la necessità di attenzione, che anche le altre metodiche d’introspezione e di modifica della coscienza, meritano.
Il transpersonale, come indagato da Wilber, Grof e Venturini, rappresenta la fonte inesauribile della conoscenza umana, che lungi dall’essere dimenticata, risiede nelle architetture neuronali dei nostri cervelli e può essere considerato come la chiave di volta per la comprensione prima e l’attuazione poi, di condotte più giuste e rispettose verso tutti.
Speculazioni filosofiche di tal sorta, per avere un qualche rispetto scientifico, debbono però essere accompagnate da dati verificabili che ne testino la valenza; questo mio piccolo contributo vuole essere uno di questi.

[Tutto il materiale presente in questo articolo, è tratto da un lavoro di Tesi di Laurea in Psicologia Clinica, con la cattedra di Psicofisiologia clinica dell’Università La Sapienza di Roma, dal titolo: “Indagine della variazione nella percezione dei confini corporei nella vasca di restrizione sensoriale”, perciò numerosi argomenti sopra esposti sono stati, per esigenze di spazio, volutamente sintetizzati; il lettore che stimolato dalla curiosità, volesse approfondirne i contenuti, potrà prendere contatti con la SISSC, responsabile della rivista in cui l’articolo stesso è inserito]



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